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Lobotomia: storia, origine ed effetti

La lobotomia, inizialmente, era considerata una procedura innovativa, veloce ed efficace, tanto da far vincere un Nobel a chi ne definì la tecnica; dopo circa trent’anni venne messa al bando per la sua brutalità. Continua a leggere l’articolo per conoscerne l’origine, la storia completa e gli effetti.

La lobotomia trae le sue origini da numerose ricerche di medici e scienziati risalenti alla seconda metà del 1800, tra cui l’italiano Amarro Fiamberti ed il dottor Sarles, che praticò lobotomie parziali (creando fori con un trapano nel cranio ed estraendo parti dei lobi frontali). Un paziente morì durante l’operazione ed altri pazienti mostrarono comportamenti alterati.

La lobotomia, comunque, nacque ufficialmente nel 1935, anno in cui venne attuata dal neuropsichiatra portoghese António Egas Moniz. Secondo lui l’instabilità comportamentale era causata da una strana ”stabilità” delle connessioni cerebrali, e la soluzione era l’asportazione o distruzione di parte dei lobi frontali nel cervello.

Le operazioni venivano compiute alla cieca (per evitare la rischiosa esposizione totale del cranio aprendone la scatola) e nonostante ciò la prima operazione sembrò un successo, perché pareva aver ridotto ansietà e paranoia gravi di cui soffriva la paziente.

Moniz operò 40 pazienti nel giro di due anni; alcuni mostravano miglioramenti, ma altri manifestavano effetti collaterali preoccupanti (apatia, scarsa concentrazione, incontinenza e riduzione delle risposte emozionali). Nonostante questo, la procedura si diffuse presto soprattutto per la rapidità d’esecuzione e dei suoi effetti; venne utilizzata per curare schizofrenia, depressione, ansia.

Nel 1949 Moniz ricevette il premio Nobel per la medicina per i suoi ”lavori pionieristici nel campo della psicochirurgia”. Walter Freeman, il lobotomista più famoso d’America, semplificò la procedura e cambiò il nome ”leucotomia” in ”lobotomia”. Molti pazienti dopo l’operazione si presentavano come inabili, ma tali effetti negativi non vennero mai pubblicizzati.

La tecnica di Freeman non prevedeva multiple forature del cranio ma un solo accesso trans-orbitario (sopra l’occhio). I pazienti venivano spesso operati senza anestesia oppure dopo l’elettroshock come sedativo. Veniva usato un martelletto per permettere al punteruolo chirurgico, l’orbitoclasto, di trapassare lo strato osseo sopra la palpebra. Il punteruolo veniva inclinato e roteato ed il tutto durava una decina di minuti.

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